ECONOMIA ETICA & SOCIOECONOMIA   

 

Tribute to the Economist International –

di Antonio ROMANO  –  9 Aprile 2022

 

Quale società possiamo ipotizzare e progettare dopo la società industriale?  

Il superamento della società post-industriale lo dobbiamo immaginare nel senso socioeconomico dello sviluppo. Oggi più di ieri, si è compreso molto bene che lo sviluppo di un territorio, di una regione, ma soprattutto di uno stato passa attraverso una serie di variabili, molte delle quali riferitesi ai provvedimenti, limitazioni, divieti, regole e leggi che vengono prodotte.  In verità esiste anche una scuola di pensiero che vede in poche regole e meno Stato una ipotesi di sviluppo alternativo al pensiero dominante. Alcuni timidi modelli di sviluppo sono già in corso di sperimentazione in diversi paesi del mondo, ma nessuno finora ha progettato lo sviluppo in senso socioeconomico, il che presupporrebbe finalmente, la possibilità di raggiungere una produzione/distribuzione più equilibrata nel merito. Infatti, i modelli di sviluppo utilizzati finora non si discostano molto da quello che gli anglosassoni chiamano “drag economy”.

In altre parole, più che progettare e fare cultura per una nuova economia etica che sia condivisibile e che sia socioeconomica, si va avanti per trascinamento, ovvero non si progetta nulla di nuovo e si lascia che l’economia precedentemente sperimentata, riesca automaticamente ad orientare la società attraverso l’innovazione, cercando soluzioni che siano quanto più evolute possibili ma non nel senso dell'etica. Dunque, il compito di promuovere l’Economia Etica non può essere lasciato ingenuamente agli stati nazionali distratti e avidi di potere, ma alla scienza socioeconomica.

Purtroppo, le società e gli stati nazionali che compongono l’universo della popolazione terrestre sono ben lungi dall’ essere omogenei NELLE PRODUZIONI, NELL’ECONOMIA, NELLA CULTURA, NELL’ETICA E NELLE LOGICHE DISTRIBUTIVE, pertanto, ancora oggi stanno percorrendo strade diverse. Poi ci sono da superare le differenze ideologiche/organizzative degli stati che ovviamente hanno legislazioni diverse, libertà diverse, fiscalità diverse, regimi amministrativi e politiche diverse. Dunque, a parte la socioeconomia, non esiste una scuola di pensiero che concretamente amplifichi ed evolva il concetto di economia etico-sociale e ci si limita, purtroppo, a parlarne in forma teorica, in forma indefinita o ancor peggio ideologica.

La potente democratizzazione dei processi comunicativi avvenuti con i social media, non ha visto una crescita altrettanto potente dell’economia in senso etico. I freni, gli ostacoli, nella stragrande maggioranza dei casi, sono rappresentati degli interessi immanenti degli stati nazionali, sempre più avidi di risorse e di burocrazia, dunque di potere interno ed esterno. L'etica socioeconomica avrebbe bisogno di essere lasciata libera di ricercare ed applicare i principi che sono alla base di questa scienza: creare le condizioni di felicità lavorativa, giusta remunerazione e qualità della vita delle popolazioni.

Oggi la combinazione fra la produzione su base locale delle risorse e la libera distribuzione globalizzata, ci indica una strada per un etico sviluppo socioeconomico. Inoltre, lo sviluppo local/glocal collaborativo di questo nuovo modello di produzione lo rende accessibile, lo rende propedeutico a un’economia sempre più etica. Dunque, una economia dove l’azione è orientata alla soddisfazione di valori etici dei produttori e dei consumatori, dove l’obbiettivo è l’inserimenti degli stessi valori nei processi produttivi. A questo punto l’elemento etico diventa un fattore di efficienza, aumenta efficacemente la motivazione degli attori economici e fortifica l’adesione a dei valori comuni.

Si è iniziato a parlare di Economia Etica da quasi 50 anni, ma in effetti non si è fatto tanto in concreto. Gli Stati nazionali si sono introdotti in questo processo di eticità dell’economia con interventi episodici, disorganizzati, squilibrati e a volte con interventi fuori luogo, inappropriati e parziali (Welfare più o meno spinti). Tali interventi come detto prima, sono stati creati per raggiungere un maggiore controllo sociale da parte dello stato, nonché un maggiore potere politico e pubblico sulla società sottostante.  Lo scambio sociale tra Stato immanente e le persone è sempre stato a sfavore della giustizia, del cittadino, della socioeconomia, dunque, dell’economia etico/sociale. Questo processo avrebbe bisogno di un via libera istituzionale, avrebbe bisogno di essere progettato, gestito, educato da attività formative che dovrebbero toccare tutta la “moltitudine sociale” e soprattutto, le pubbliche sovrastrutture burocratiche. Ma questa "via libera", non si intravede e come detto, non è nel DNA degli “stati antichi attuali” che conosciamo: ostacolativi, secolarizzati, stantii, burocratici, assetati di controllo e di potere sempre più ampio. 

Come in tutti i periodi di transizione, ci sono diversi “anelli mancanti” (Stato, leggi, regole nazionali, consuetudini, mindset ideologici, occupazione degli spazi sociali, ecc.) che riducono e a volte fanno sembrare utopica una trasformazione della attuale Economia post-Industriale in una migliore e più giusta Economia Sociale Etica. Una accelerazione dei processi porterebbe velocemente a ridurrebbe i tempi per giungere alla “socioeconomia diffusa”: ovvero all’unisono sviluppo economico e sociale dell’umanità salvaguardando sempre e comunque i meriti e talenti.

Prof. Antonio ROMANO